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La libertà sospesa

Come vivono gli educatori e i ragazzi all’interno delle comunità per minori in questo momento di emergenza? Mancano l’abbraccio di un familiare, lo sguardo di un insegnante. Sono tutte cose a cui gli adolescenti ospiti sono stati costretti a rinunciare. Ecco perché, in queste condizioni, l’intervento degli stessi educatori è ancora più importante.

La situazione è senza dubbio difficile e a raccontarla è Licia Canigola, coordinatrice della Comunità per Minori “Casa di Mattoni”.

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La libertà sospesa

In questo momento ci stiamo concentrando su tre temi importanti. Il primo è quello degli ingressi e dimissioni. Non sappiamo come devono avvenire dal momento che non esistono indicazioni se non di minima e largamente insufficienti. Siamo completamente fermi in tal senso. E questo è un problema significativo sotto diversi aspetti. Ne consegue che stiamo provando a ragionare con il coordinamento regionale delle comunità di accoglienza per minori, su una struttura filtro, sia per i casi di covid che per realizzare una quarantena prima di entrare in comunità o di essere trasferiti da essa.

Il secondo tema si incentra sulla questione relativa al costo dei questa situazione emergenziale e dei nuovi ingressi. Nel nostro caso ci sono molte permanenze di neo-maggiorenni in proroga SIPROIMI, ma in altre comunità non è così e la situazione è più pesante.

Ultimo tema e quello del sostegno psicologico ai ragazzi che vivono in comunità ed in particolare per quelli del territorio che hanno un sistema di relazioni che a partire dal 9 marzo sono state completamente sospese e che procedono solo tramite una relazione a distanza fatta di video-chiamate e simili.

La gestione quotidiana è molto difficile in quanto si tratta di motivare sempre il ragazzo a rimanere efficacemente nella nostra struttura e a partecipare alla vita comunitaria. Il tutto mentre abbiamo educatori che sono estremamente stanchi e provati. Anche impauriti per molti versi e in ansia se non in angoscia, rispetto a questa complicata situazione. Mantenere motivazione e “forza” è quindi una dimensione molto complicata.

C’è poi tutta la questione delle video-lezioni che molti ragazzi stanno seguendo quotidianamente e in contemporanea, con tutte le conseguenti difficoltà in termini di dispositivi e connessioni. Alcuni hanno cominciato anche molto tardi con queste lezioni on line.

Teniamo attivo il nostro blog nel quale abbiamo coinvolto i ragazzi con la scrittura di diversi articoli, tra cui vale la pena segnalare le interviste per capire come questa emergenza viene affrontata in paesi differenti: in Spagna, in Francia, in Germania, in Austria… Il tutto tramite delle chiacchierate con persone che vivono in quei Paesi. C’è quindi spazio per il racconto, per le canzoni e altro.

Cerchiamo poi di gestire i comportamenti oppositivi alle regole e alle dinamiche di convivenza, in modo particolare da parte dei neo-maggiorenni che sono i più insofferenti e che sono ben 4, con una incidenza importante sugli equilibri interni. Si creano così degli sbilanciamenti significativi nel gruppo. A questo proposito si tratta di mettere in piedi tutta una riflessione specifica su questi ragazzi; una riflessione la cui necessità è diventata ancora più evidente in questa fase.

La cosa importante è comunque che i ragazzi si sono messi in gioco, hanno partecipato, sostanzialmente senza serie dinamiche di fuga, nonostante la difficoltà della situazione. Dopodiché la nostra grande fortuna è la presenza dello spazio esterno che ci consente di svolgere molta attività all’aperto. Leggere un libro in giardino, fare un gioco, attività fisiche, assemblee all’aperto, etc.

I ragazzi quindi sono come inceppati. C’è una libertà sospesa. Hanno interrotto tutti i rapporti fuori dalla comunità. Hanno interrotto tutti i tirocini che erano la premessa per preparare l’uscita dalla comunità. Sono stati interrotti tutti i progetti di sgancio. L’interruzione di tutti i progetti ha ripercursioni importanti. Ad esempio un ragazzo per il quale si era costruito tutto un progetto di ricongiungimento familiare dall’Afghanistan è completamente saltato.

Poi ci sono ragazzi che non tornano a casa. Quelli che non possono nemmeno ricevere i genitori; su questo pensiamo di attivare una dinamica che preveda l’utilizzo del giardino per incontrarsi comunque mantenendo la regola della distanza.

Stiamo scoprendo giochi che non si conoscevano e che erano dimenticati; grazie anche a noi veterani.

Avremmo anche dovuto interrompere i supporti psicoterapeutici; ma abbiamo comunque provveduto a trovare delle modalità per realizzarsi garantendo tutti i requisiti di sicurezza. Abbiamo evitato le modalità on-line le quali non avrebbero – oltre agli altri evidenti limiti – garantito gli indispensabili requisiti di riservatezza. I ragazzi non possono raccontare cose così importanti, profonde e riservate nella piazza che è la dimensione comunitaria.

La settimana scorsa abbiamo arato il campo e così ripreso l’attività del progetto Terre, soprattutto grazie a nuove energie che ci hanno concesso questa possibilità. Persone nuove interessate a mettersi davvero in gioco rispetto ad un progetto che vuole essere di produzione, trasformazione e vendita di alimenti oltreché di opportunità di tirocini formativi per quante più persone. Un progetto sul quale vogliamo davvero coinvolgere l’intera cooperativa.

In questo senso esiste anche una possibile connessione forte con i temi legati all’animazione comunitaria sia in relazione all’azione della Casa di Mattoni, sia in relazione a tutto l’operato della cooperativa.

Ci sono le emozioni. Quelle che sono scorse. Dopo una prima giornata di pianto perché sentivamo il peso dell’azione politica più ancora che la dimensione di cautela sanitaria. A questo si aggiunga la dimensione personale di pericolo e distanza dalle persone care. Oltre al senso di smarrimento perché diventava evidente che si trattava di una secca interruzione di tutte le progettualità in atto e di uno stop complessivo rispetto all’intera azione in corso. Qualcuno invece ha reagito non credendoci e svalutando il senso dei protocolli di sicurezza che stavamo apprestando.

I ragazzi non lo sentono questo problema. O meglio non lo sentono in relazione a loro stessi. Percepiscono che sono gli operatori quelli a rischio e quelli che possono portare il “nemico” in casa; dunque si tengono a debita distanza. Abbiamo implementato tutte le misure di sicurezza, ma i ragazzi sanno che siamo noi adulti quelli a rischio e quindi si sentono più forti.

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