Gruppo

Il gruppo come forza

Il concetto di isolamento è l’esatto contrario del pensiero che sta alla base del lavoro rivolto alle persone più vulnerabili. Per questo motivo, per superare questo momento di emergenza, c’è bisogno di lavorare insieme, in maniera coesa, tirano fuori l’impossibile… è questa la forza del gruppo.

Carmela Gentili, coordinatrice coordinatrice Area Riabilitazione Psichiatrica ” La Rugiada”, ci racconta come stanno affrontando questa fase di isolamento gli ospiti della strutture e gli operatori

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Il gruppo come forza

La fase di chiusura comincia ad essere pesante. In principio ci è sembrato di poterne ricavare qualcosa di nuovo, di innovativo, una riscoperta di interessi e di opportunità. Ora invece comincia ad essere una fase di difficile gestione.

Emerge il peso della chiusura negli ospiti. Oggi è venuto un ragazzo dicendomi: “io vorrei sapere quando è che ci dici che possiamo andare a casa”. Come se fossi io a rinchiuderli e bloccarli. Si trattava di un ragazzo abituato a rientrare a casa tutti i fine settimana.

Se prima ci siamo stupiti che avessero accettato così tranquillamente i vincoli dell’essere relegati nella comunità, adesso si comincia a tornare alle reazione a cui noi operatori siamo abituati e che ci aspettiamo da loro.

Il nostro modo di lavorare è cambiato perché in qualche modo sono superati i ruoli precedenti e tutto è divenuto un poco più orizzontale. Tutti siamo sistematicamente coinvolti nelle operazioni di pulizia e sanificazione costante degli ambienti. Puliamo ogni singola cosa, oggetto che possa essere esposto ad un contatto. Tutti facciamo questo e non esistono più ruoli specifici. Ma queste modalità portano anche orizzontalità e scambio.

Un altro significativo cambiamento è la mancanza degli esperti esterni che venivano a fare delle attività specifiche. Sono quindi gli operatori ad essere impegnati nelle attività e lo fanno mettendo una grande attenzione alle distanze (da parte degli operatori in particolare che sono quelli che provengono dall’esterno) e ai piani di sicurezza. Da non sottovalutare la fortuna di possedere, in entrambe le residenze, degli spazi esterni: questo ci consente di fare ginnastica all’aperto, lettura, maxi-cruciverba in terrazzo, merende, aperitivi. Insomma attività continue che variano anche il più possibile proprio per rendere la vita nella nostra comunità quanto più piacevole nelle condizioni attuali.

Il distanziamento sociale è proprio la difficoltà maggiore in questo momento. Come operatori siamo costretti e tenere i dispositivi, cambiarci e mantenerci distanti: questo laddove i nostri ospiti spesso vivono l’importanza del contatto fisico.

Ad esempio il momento del pranzo è molto diverso in questo momento. Noi operatori non mangiamo più insieme a loro, ma solo quando gli ospiti hanno finito, per ragioni relative all’indossare la mascherina. La loro disposizione è stata studiata per mettere distanza perdendo quella dimensione conviviale.

Tra gli ospiti c’è preoccupazione, mentre tra noi operatori c’è paura. Paura perché siamo coscienti che se per caso qualcuno diventa positivo gestirli lì dentro diventa quasi impossibile. Abbiamo già predisposto un piano e tutta una serie di protocolli di gestione in caso di presenza di un positivo, ma è davvero pressoché impossibile pensare di tenere recluso in una stanza uno dei nostri ospiti.

La cosa positiva e che ci deve fare riflettere, è il fatto di trascorrere più tempo insieme agli ospiti. Non siamo più presi da incombenze altre o da tutta la dimensione burocratico-amministrativa che attualmente stiamo tralasciando. Si pone attenzione alla relazione con loro. Ad esempio la terapia di gruppo permette l’emergere di dinamiche che non si coglievano da tempo; una ricchezza che non c’era in precedenza.

In passato, infatti, il gruppo si divideva, e la mattina molti ospiti andavano fuori per questioni legate a tirocini e attività esterne. In casa spesso rimanevano quelli maggiormente in difficoltà e caratterialmente più chiusi e quindi le attività di gruppo mostravano interazioni deboli. Ora che tutti gli ospiti sono presenti si lavora di più in gruppo, dal momento che ci sono meno operatori: quello che emerge è una interazione più ampia e più ricca. Una interazione che funziona molto di più.

È interessante come anche l’équipe sia molto più coesa e partecipe e l’operare insieme sia più immediato ed efficace. La situazione complessa responsabilizza di più e rende tutti più attenti, pronti e collaborativi. Stiamo imparando una serie di cose, come servizio e come gruppo, ma non so quanto riusciremo a mantenerle, dal momento che, sono sicura, la routine ci riporterà ai vecchi sistemi.

Io ad esempio sto reimparando a stare con gli ospiti ed è una dimensione che apprezzo molto di più. Temo però, che quando tornerà il tempo normale, le dinamiche organizzative prenderanno il sopravvento, perdendo di nuovo tutti questi aspetti relazionali che invece rimangono davvero fondamentali.

Questo mi pone anche delle domande su quanto tutta la dimensione di “sovrastruttura” sia effettivamente utile rispetto al lavoro educativo e di relazione con gli ospiti. Si fa fatica a distinguere cosa sia possibile eliminare tra ciò che fa parte dello stare all’interno di un sistema. A questo si aggiunge il fatto che qui abbiamo progetti tanto individualizzati rispetto a ciascuno dei nostri ospiti e questo determina la necessità di una grande produzione di processi organizzativi e relativa documentazione. Questa cosa se da un lato è un valore aggiunto per tutta la struttura, nella sua capacità di costruire progetti individualizzati, dall’altro determina un lavoro organizzativo enorme e faticosissimo che risucchia tante energie dal più diretto lavoro di relazione.

In questo periodo i ragazzi hanno tenuto un diario della quarantena in cui si evince come è cambiata la percezione nelle varie fasi di questo lungo periodo. In ogni caso si è vista una grande attenzione e desiderio di mantenere un forte spirito e legame di gruppo e di comunità tra operatori e ospiti, tirando fuori un senso di coinvolgimento e di appartenenza di gruppo che di solito vanno un poco persi. Persi anche perché la dinamica “normale” non vede mai una presenza così intensa per un periodo così prolungato.

Tutto questo anche perché noi operatori abbiamo voluto dare importanza allo sforzo dei nostri ospiti che sono stati costretti a vivere tale lungo periodo di chiusura in comunità nella maniera migliore possibile. Infatti molti sono abituati a frequenti rientri a casa e ad un rapporto con la famiglia spesso molto forte. L’interruzione di tale rapporto da parte loro, doveva essere da noi “premiata” con una attenzione e una presenza e una partecipazione maggiori di quanto succeda nei periodi di normalità. Dovevamo dimostrare che insieme si può stare davvero bene, come è successo ad esempio in occasione del festeggiamento per la Pasqua.

In questo momento stiamo registrando le differenti attività tramite video e foto, che ci consentano di raccontare bene alle famiglie, quando giungerà il momento, quello che è successo e l’importanza che ha portato alla vita della nostra comunità.

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