Il dialogo, la più antica forma di condivisione
Anche i servizi domiciliare Territoriale e SAD hanno dovuto adoperarsi per gestire i tanti cambiamenti nei suoi molteplici aspetti dovendosi reinventare, al fine di continuare ad aiutare, tutelare e supportare tutte le persone (giovani, famiglie ed anziani) già in difficoltà.
Sara Concetti, coordinatrice dei servizi dedicati alla persona come il Servizio di Educativa Domiciliare Territoriale e di Assistenza Domiciliare (SAD), ci racconta come in questo momento emergenziale hanno usato e stanno usando la tecnologia, convertendosi in servizi online.
#NOICISIAMO #ComaCambiailMioServizio
Il dialogo, la più antica forma di condivisione
Sono un assistente sociale, coordino due servizi domiciliari SAD ed Educativa territoriale. Combatto tutti i giorni contro il tempo per poter disbrigare l’enorme carico di lavoro che mi compete in merito al ruolo di responsabilità che svolgo, organizzo, pianifico e gestisco turni, riunioni con enti ed istituzioni, svolgo quotidianamente colloqui con utenti, siano essi famiglie, anziani, persone con disabilità fisica e psichica già in carico ai servizi, ascolto le loro storie, i loro bisogni, i loro sogni, le frustrazioni le gioie ed i dolori, per aiutarli poi insieme alle preziose equipe di assistenti domiciliari ed educatori a far fronte alle loro necessità, accolgo i cittadini che possono aver bisogno di parlare per avere chiarimenti per meglio orientarsi nella fitta e complessa rete dei servizi territoriali.
In tutta questa incalzante e complessa routine che dettava e scandiva tempi e ritmi, sono stata risucchiata nel vortice dell’emergenza coronavirus che come un’onda anomala ha invaso in modo improvviso, imponente e definitivo la mia vita così come quella di tutti, modificandone l’oggi ed il domani in un solo colpo….Ed ecco prender piede l’assordante silenzio di una improvvisa situazione surreale, che porta con se un subdolo ed acerrimo nemico: il Covid 19. Tutto ciò ha prodotto una profonda crisi ed un cambiamento così importante rispetto alle precedenti abitudini di vita, tanto da creare un’improvvisa vulnerabilità trasversale che, in misura diversa, attraversa la vita di tutti, accompagnata da solitudine, fragilità, disorientamento, incertezza del presente e del futuro, verso una progressiva e “silenziosa” perdita di capacità, nel quotidiano mestiere di vivere.
Le crisi si sa, hanno sempre a che fare con il cambiamento…. Ed è in questo scenario che gli operatori del sociale (siano essi educatori che assistenti domiciliari) si sono trovati catapultati dall’oggi al domani a lasciare vecchie risposte ormai assodate per cercarne di nuove e a ristabilire altri equilibri per favorirne l’adattamento; un “guado” difficile, che però una volta attraversato, arricchisce il nostro bagaglio di vita e ci permette di sviluppare strumenti e competenze nuove, dettate dalla diretta sperimentazione sul campo.
“Nella sua quotidianità l’operatore entra in contatto con storie e situazioni dove è impossibile definire a priori, o da fuori, quale sia il ‘bene’, la soluzione, l’intervento più pertinente. [….] È per lui importante sviluppare una conoscenza ravvicinata, dal di dentro, di queste storie e situazioni, per capire come intervenire in contesti spesso confusi, fatti di intrecci relazionali e sovrapposizioni di problemi”.
Franca Olivetti Manoukian, 2008.
L’attività di chi opera nel sociale e nello specifico di chi svolge il proprio intervento a livello domiciliare, ha di norma a che fare con il lavoro relazionale nella sua più ampia accezione, che si sviluppa in una costante vicinanza con le persone, in cui sono spesso coinvolti fattori di ordine interpersonale ed emotivo. Infatti per comprendere, l’operatore sociale deve attivare inevitabilmente strategie di avvicinamento alle persone e alle loro situazioni di vita e mentre si confronta con la complessità dei problemi, mette in gioco la propria soggettività con implicazioni emotive inevitabili.
In questo quadro di contesto così atipico e poco favorevole, gli operatori nella rimodulazione dell’intervento educativo così come quello socio-relazionale, avrebbero voluto fermarsi per un momento, prender fiato, respirare un po’ e permettersi un pensiero riflessivo necessario tra tempi e spazi per ri-elaborare e ri-pensare il fare; per prenderne le distanze e poi tornarvi con maggiori consapevolezze e strumenti; ma questo non è stato possibile. Fortunatamente però tutti noi siamo stati pensati per convivere quotidianamente con i cambiamenti e fare un salto di qualità tramite gli adattamenti. Possediamo dentro di noi, un dono, un insieme di risorse che abbiamo ereditato dal passato e che costituiscono la nostra «resilienza».
E’ la resilienza la norma negli Esseri Umani, non la fragilità; ovvero la capacità di persistere nel perseguire obiettivi difficili, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà che ci si presentano; l’abilità nel far fronte in maniera positiva alle difficoltà, coltivando le risorse che albergano dentro di noi. Tale forza interiore rappresenta la forza della vita, la capacità dell’individuo e dell’animo umano di reagire agli eventi negativi adattandoli a tal punto da poterli trasformare in eventi positivi.
Appartiene a chi traccia strade dove c’erano ostacoli, a chi camuffa una caduta con un magnifico volo, a chi sa che qualcosa sta nascendo, proprio lì, sotto quel sasso arido e sterile che tutti ignorano. Ciascuno di noi ha un proprio bagaglio di resilienza che permette di “tornare a vivere”, ed i nostri operatori sapevano bene che per “ritornare a vivere” e svolgere il loro lavoro educativo, se pur sconvolto da strumenti totalmente differenti e in alcuni casi sconosciuti, dovevano spogliarsi prima della rigida “giacchetta” connessa al ruolo e ritornare ad Esseri Umani, per poter, sentire, comprendere e guardare i loro “ragazzi/e”(giovani o anziani) i loro vissuti, le loro paure, i loro timori e quelli dei loro genitori con nuovi occhi.
Hanno ritrovato la forza ed il coraggio dell’umanità e sono stati il silenzio dopo le parole, la voce che può arrivare dritta al cuore, i passi per poi ricostruire relazioni e storie, il confine per arginare le altalenanti, controverse e strabordanti emozioni, la spalla se pur virtuale, dove piangere lacrime talvolta anche amare, sono impronte sulla sabbia che camminano invisibili, ma ben salde accanto a loro, sostenendoli, rendendoli visibili al mondo e ai loro contesti familiari, facendoli sentire al sicuro e parte attiva, nel difficile cammino della vita.
“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
Marcel Proust
Gli operatori sociali siano essi educatori e/o assistenti domiciliari in merito al servizio di riferimento, hanno concordato con i vari utenti orari e giorni in cui poter stabilire un contatto, dalle semplici chiamate, alle video chiamate, chat Whatsapp singole e di gruppo, piattaforme come Skype, Zoom e così via. Una volta effettuato il primo aggancio è iniziato il vero e proprio lavoro socio-educativo.
Ogni operatore si è organizzato al meglio in base alle situazioni, educatori domiciliari in video-chiamata con i più piccoli hanno proposto giochi classici come nomi-cose-città, battaglia navale, quiz ed indovinelli, in alcuni di questi giochi hanno partecipato attivamente anche alcuni genitori dei ragazzi.
Altri hanno lavorato sulle autonomie personali e di cura del sé, sulle abilità tecnologiche per aiutarli a mettersi in rete e connettersi con più amici contemporaneamente per raccontarsi la quotidianità, sulle autonomie culinarie, facendo un dolce o la pizza in diretta online. C’è poi chi ha condiviso il pranzo ed un caffè in video-chiamata per scacciare la solitudine, chi si è scambiato le ricette e sta costruendo in modalità condivisa un ricettario da mettere in pratica durante e dopo l’emergenza coronavirus.
Le persone anziane, soprattutto coloro che abitano da sole, attendono con ansia la chiamata dell’assistente domiciliare perché sentono il bisogno di essere rassicurati, la necessità di essere ascoltati, il desiderio di ricevere una parola affettuosa e di conforto, la speranza di non essere abbandonati e la certezza che il servizio verrà riattivato quanto prima. Emergono chiaramente anche tanti timori, paure, preoccupazioni per il domani e la domanda di tutti resta sempre la stessa: quando finirà tutto questo?
Questo per dire che le esperienze emerse finora dall’utilizzo di chiamate e videochiamate come strumenti ponte per mantenere la comunicazione e la relazione nel lavoro educativo sia esso domiciliare o socio-sanitario, hanno permesso di sperimentare una nuova modalità attraverso la quale conoscere meglio l’Altro.
L’esperienza ancora in atto ci fa riflettere sul fatto che il contatto, se pur telefonico con gli operatori del sociale (siano essi educatori che assistenti domiciliari), sta rappresentando un punto di riferimento prezioso, un “valore umano aggiunto” per ragazzi/e, famiglie, adulti e anziani, ed uno spazio vitale socio relazionale, emotivo ed affettivo, in cui fidarsi, affidarsi e confidarsi. Di seguito alcune testimonianze degli educatori dei nostri servizi proprio su questo valore umano aggiunto e sulle reazioni dei ragazzi a queste settimane difficili.
È come essere su una nave in balia delle onde. La tempesta è iniziata i primi di marzo di quest’anno e i miei giovani “marinai”, Tommaso, Giorgio, Bruno, Filippo e Marco sono ancora aggrappati ai bordi del vascello di prua mentre le onde continuano ad infierire. Le onde sono fortissime, scuotono la nave con violenza, ma i ragazzi – ognuno a modo suo e a volte con qualche momento di scoramento – stanno comunque dimostrando un grande spirito di resilienza.
La simbologia della nave e della tempesta serve per raccontare queste settimane a dir poco surreali. Inevitabilmente chi più ne ha risentito sono stati proprio i soggetti più deboli: gli anziani, le persone sole, gli ammalati e i bambini. Sono testimone diretto di questi ultimi in quanto l’età dei ragazzi che sto seguendo varia dai 4 ai 12 anni. Una fascia di età sulla quale il Covid-19 – e le relative conseguenze nella vita di tutti i giorni – si è abbattuto come una furia privandoli di ciò di cui più avevano bisogno: il contatto fisico con la propria rete sociale tra cui lo stesso educatore. L’aver sostituito tutto ciò con un freddo schermo del pc o del telefonino è indubbiamente servito a mantenere vivo il rapporto, ma lo ha messo a durissima prova.
Prendiamo ad esempio Giorgio che, dopo aver iniziato egregiamente un’arte marziale finalizzata a far fluire la sua energia compressa, si è visto costretto a rinchiudersi in casa. Questo ha aumentato la sua dipendenza da videogiochi e tablet, con un notevole aumento della tensione preesistente. Un forte scossone anche per Marco. Da poco era riuscito ad apprezzare e a godere della socialità dei Cag (Centri di Aggregazione Giovanile), ma si è visto interrompere bruscamente questa gratificante attività. Discorso analogo per Bruno e Filippo, i più piccoli, che hanno dovuto imparare in fretta a dialogare, a sentire favole, canzoni o a essere guidati nei giochi da una persona collegata in videochiamata. E infine per Tommaso, il più grande, che fin dai primi collegamenti Skype ha manifestato una grandissima nostalgia delle partite a scacchi “fino all’ultimo sangue” fatte a casa sua.
Ognuno dei miei “marinai” ha incassato in queste settimane un bel po’ di frustrazione, ansia, timore e tante altre emozioni discordanti tra loro di fronte alle spasmodiche notizie sul prolungamento di quel distanziamento sociale che fa loro più paura del virus stesso. Con ognuno di loro sono state gettate le basi per evitare il peggioramento del tono dell’umore cercando di inventare ogni giorno qualcosa di nuovo. A volte questo “gioco” è stato recepito, altre volte meno. E’ un cantiere tutt’ora aperto nel quale non si può dare nulla per scontato. I ragazzi continuano a reggersi al loro vascello con la speranza di un prossimo approdo al porto più sicuro. Il loro spirito di resilienza continua ad essere il punto fermo sul quale poter investire, ma urge al più presto un ritorno a quella normalità di cui hanno bisogno come l’aria, a partire dal contatto fisico, anche fosse solo uno scambio di sguardi che non sia filtrato da uno schermo. Ne va della loro serenità interiore che – alla luce dei vari decreti ministeriali in cui le necessità dei più piccoli non hanno grande visibilità – resta l’unica e vera priorità.
Lorenzo Baldo – Educatore
Resilienza. Credo che questa sia la parola che mi rappresenta in questo momento particolare, la capacità di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità che la vita offre, senza alienare la propria identità. Sono sincera quando dico che non è stato semplice per me vivere questo periodo, come credo non lo sia stato per tante altre persone. Avevo ripreso l’attività lavorativa da poco per cause personali ed ero pronta per ricominciare, invece è arrivato il Coronavirus. Ho potuto svolgere un solo incontro protetto come educatrice e per pochi mesi ho iniziato un percorso di affiancamento educativo ad un nucleo familiare fragile, poi però si è tutto fermato.
Nei primi giorni della quarantena sono stata spesso pensierosa e triste, ma soprattutto in difficoltà perché non potevo essere d’aiuto a nessuno se non a me stessa stando a casa. Poi ho ricevuto i messaggi dei genitori che avevo da poco conosciuto con i saluti dei bambini e le loro foto sorridenti, con in mano un disegno che rappresentava l’arcobaleno ed una scritta che diceva “andrà tutto bene” o altri video mentre il piccolo ballava delle canzoncine cantate dalla mamma. Piccoli e semplici gesti che però ti ricordano che il ruolo avuto è stato per loro importante e che si può sempre ricominciare.
Non è stato e non è semplice avere come unico strumento di comunicazione un telefono. Ho pensieri contrastanti al riguardo, ma poi ti rendi conto che anche una telefonata, può fare la differenza. Mi auguro di essere in grado di saper rispondere positivamente ai cambiamenti che questa situazione porterà. Sono speranzosa che ci saranno adeguate risposte ai bisogni dei più fragili e che noi operatori del sociale saremo in grado di reinventarci e di sintonizzarci in questa nuova dimensione.
Ludovica Mariani – Educatrice
Il nostro lavoro si basa sulla capacità di instaurare una relazione con l’altro, una relazione che, soprattutto con i più piccoli, passa attraverso il contatto fisico come l’abbraccio. Ora tutto ciò manca, ma è emozionante sentire e vedere al di là di uno schermo, un bambino che aveva difficoltà a verbalizzare ed esternare i propri sentimenti dire: “mi manchi”, “ti voglio bene”. Queste parole rincuorano e danno energia, per continuare con il sorriso a svolgere il proprio lavoro, poiché ciò che è stato fatto non è svanito! Quelle parole lasciano la traccia di noi in loro e nonostante l’impossibilità attuale a vedersi, aspettiamo con speranza il momento in cui possiamo ritornare a condividere e crescere insieme reciprocamente.
Chiara Turtù – Educatrice
“Il valore e l’importanza delle esperienze negative risiede nel fatto che attraverso questi improvvisi cambiamenti si piantano i primi semi di un sistema immunitario psicologico forte ed efficiente”. I cambiamenti ci spingono a far emergere la resilienza che è dentro di noi, la forza, la capacità e il coraggio di riuscire, nonostante tutto cambi all’improvviso. Questo periodo di isolamento ci ha dato modo di pensare a cosa ognuno di noi ha dentro: dal 10 marzo tutto è cambiato, tutte le certezze acquisite si sono dissolte, ma il coraggio ha fatto si che io e i miei “giovani ragazzi” riscoprissimo il valore e il piacere delle piccole cose. Quindi un bel respiro e via, abbiamo guardato e apprezzato ciò che di positivo portano i cambiamenti e che molto spesso neanche vediamo; abbiamo imparato a condividere, anche se attraverso uno schermo, qualsiasi momento e a non darlo per scontato; abbiamo fatto colazione, pranzo, preparato dolci, lavorato su piccole autonomie, ma condiviso anche preoccupazioni per il futuro, l’ansia di voler tornare a lavoro. Non posso negare che il mio lavoro è parte di me, ed è pieno dei loro abbracci, dei loro sorrisi, del contatto diretto con le persone, è carico di emozioni positive e negative, dello stare insieme. Anche vederli sorridere attraverso uno schermo è una grande emozione, nonostante il periodo che stiamo passando, perché educare significa tirare fuori il talento di ognuno, esercitarsi a vedere anche il lato positivo delle cose, infondere coraggio, forza e speranza. Nonostante tutto siamo capaci di sopportare molto di più di quanto pensiamo!
Francesca Trapè – Educatrice